Ashtanga Yoga – Lo Yoga delle 8 tappe

di Dan Bozaru, insegnante di yoga, tantra e meditazione 

Secondo la visione classica del sistema yoga di Patanjali nella sua opera fondamentale “Yoga Sutra“, lo yoga è definito innanzitutto come “l’eliminazione completa di ogni fluttuazione di natura mentale”. Per riuscire a realizzare ciò, Patanjali indica all’aspirante yoga otto tappe (“ashta” = otto, “anga” = tappe o passi) da seguire ed applicare per la sua crescita e trasformazione:

  1. YAMA (etica verso l’esterno)
  2. NIYAMA (condotta interiore)
  3. ASANA (postura o attitudine corporea)
  4. PRANAYAMA (controllo dei soffi respiratori)
  5. PRATYAHARA (ritrazione dei sensi)
  6. DHARANA (concentrazione)
  7. DHYANA (meditazione)
  8. SAMADHI (estasi)
  1. YAMA – le cinque regole di ordine morale, che sono
  • ahimsa (non violenza),
  • satya (verità),
  • brahmacharya (astinenza o continenza sessuale)
  • asteya (non furto),
  • aparigraha (non accumulo);
  1. NIYAMA – le cinque regole di ordine etico, che sono
  • saucha (purificazione, sia della struttura fisica che della struttura mentale ed emozionale),
  • santosha (contentezza e soddisfacimento),
  • tapas (austerità o sforzo cosciente),
  • svadhyaya (studio del Sé)
  • ishvara pranidhana (adorazione ininterrotta e dono di sé a Dio);
  1. ASANA – le posture fisiche del corpo, che devono essere praticate in modo da condurre lo yogi ad affrontare in modo efficiente la pratica della meditazione, conferendo contemporaneamente uno stato di perfetta salute;
  2. PRANAYAMA – il controllo completo dei soffi sottili, ritmando la respirazione;
  3. PRATYAHARA – il “ritiro” dei sensi dalla percezione degli oggetti che ci circondano;
  4. DHARANA – la focalizzazione ferma dell’attenzione in un solo punto o, in altre parole, su un solo oggetto di meditazione, azione definita con il termine di concentrazione;
  5. DHYANA – la meditazione, che rappresenta la fase in cui la concentrazione diventa stabile ed ininterrotta;
  6. SAMADHI – contemplazione ed estasi divina.

Asana

Le posizioni yoga (asana) fanno parte del sistema chiamato Hatha Yoga, sistema che pare essere il più accessibile agli occidentali, in genere non inclini alla contemplazione, come gli orientali.

In ogni sistema yoga, lo scopo finale è quello di equilibrare le energie dell’intero essere, di assicurare l’armonia con sé stessi, con l’ambiente circostante e con l’universo.

L’etimologia della parola Hatha è estremamente simbolica: Ha significa Sole, e Tha Luna. Il termine Yoga significa unione, cosi Hatha Yoga è l’unione tra Sole e Luna, cioè tra tutti gli aspetti duali dell’essere.

Il sole, energia positiva, controlla tutte le funzioni fisiche e vitali; un essere prevalentemente “solare” è estroverso e maggiormente predisposto allo sforzo fisico. La luna controlla tutte le funzioni mentali, cosi un essere particolarmente “lunare” è sognatore, pacifista ed introverso.

L’Hatha yoga propone la riconciliazione tra tutte queste funzioni e l’equilibrio tra i due tipi di energie, tramite le posture e la respirazione corretta.

Cosa sono di fatto le posture?

Nel caso delle posture yoga, ogni posizione del corpo ha uno scopo preciso, essendo calcolata ed espressa con molta precisione. Niente è lasciato al caso; le asana sono in essenza il simbolo, sul piano fisico, di un’energia sottile benefica dell’universo. La postura yogica è una vera “formula” che ha come obiettivo:

  • il mantenimento in uno stato perfetto delle funzioni del corpo fisico;
  • l’equilibrio delle energie praniche, che agiscono in modo diretto sul corpo fisico;
  • il raggiungimento di uno stato di calma mentale, tramite l’attenzione che queste posture richiedono;
  • il controllo della respirazione (il cui scopo principale costituisce la quarta tappa nello yoga: il pranayama).

Possiamo dire che la postura yogica (asana) implica un’azione interiore ed una esteriore, azioni che si uniscono nella pratica e formano un tutt’uno. L’azione esteriore mira al corpo fisico, più precisamente alla muscolatura e alle articolazioni, mentre quella interiore agisce a livello dei centri sottili di forza (chakra) e dei nadi (che costituiscono il corpo pranico).

La pratica ha dimostrato che, anche se il praticante non conosce la modalità tramite cui agiscono le asana, comunque il prana veicolato conduce all’ottenimento degli stessi effetti, a volte sorprendenti. Quando il prana è diretto in modo cosciente, durante la pratica delle asana, l’energizzazione ottenuta è molto più intensa e gli effetti sono più pronti e più forti.

Esistono due tipi di posture (asana):

  • Dinamiche – sono molto varie e comportano a volte un certo grado di difficoltà. Hanno come scopo principale il mantenimento in buona salute del corpo fisico e l’equilibrio delle energie nei sette livelli dell’essere;
  • Statiche – sono chiamate anche posture meditative, molte di esse vengono utilizzate nella pratica della meditazione. Hanno lo scopo di captare le energie cosmiche tramite i centri di forza e rinvigorire l’essere (principalmente a livello fisico ed eterico).

Pranayama

O, Signore, Ti porto nel mio cuore,

Questo ti può trasformare in pensiero.

Non lo farò!

Ti avvolgo con lo sguardo, Ti trasformerei in spina.

Non lo farò!

Ti porterò nel mio respiro,

Cosi che diventerai la mia vita.

                                                                          Rumi

Il pranayama rappresenta la quarta tappa nello yoga e può essere considerato un’arte molto sottile e profonda di trasformazione completa dell’essere.

Include una serie di tecniche respiratorie e di concentrazione mentale, che permettono il movimento e la dilatazione volontaria degli organi respiratori, in modo ritmico ed intenso. E’ composto da una serie di inspirazioni (puraka), espirazioni (rechaka) e ritenzioni del soffio (kumbhaka), in una successione prolungata, sottile e sostenuta.

Con riferimento al ruolo distinto delle fasi del processo di pranayama, la tradizione yogica afferma che puraka (inspirazione) stimola l’organismo, rechaka (espirazione) elimina l’aria viziata con le energie che le sono associate, oltre alle tossine, mentre kumbhaka (apnea) distribuisce l’energia nell’intero corpo. I movimenti respiratori implicano:

  • un’espansione in orizzontale (dairghya)
  • un elevazione verticale (aroha) e
  • un’estensione della circonferenza (visalata) dei polmoni e della cassa toracica.

Grazie all’abbondante apporto di ossigeno, generato tramite la disciplina e l’espansione della respirazione, nel nostro corpo si producono trasformazioni chimiche benefiche e si amplificano i fenomeni eccezionali di trasmutazione biologica.

Il prana non è lo stesso della respirazione normale, che si realizza automaticamente per sostenere la vita nel caso di ogni essere umano, e pranayama non significa controllo della respirazione, anche se il prana si manifesta attraverso il respiro ed è legato a vayu tattva, l’elemento sottile dell’aria e del movimento.

Per questo motivo, tra le modalità essenziali di trasformazione radicale e di rapida evoluzione, il pranayama – il controllo dei flussi di prana, realizzato tramite una respirazione ritmica ed armonizzata, in modo creatore, sulle metamorfosi e trasformazioni spirituali a cui lo yogi tende – è fondamentale nello Yoga.

Alla fine, ogni tecnica di pranayama è una modalità per aumentare il nostro “deposito” di energia, il prana migliorando, in questo modo, lo stato di salute e di vitalità e portando lo yogi alla conquista graduale dei poteri paranormali, sorprendenti per l’uomo comune. 

Il pranayama permette, allo stesso tempo, il controllo della mente (che viene controllata dal prana, durante la realizzazione delle tecniche di pranayama). Durante la vita, l’anima (Jivatma) e la mente mantengono il prana all’interno del corpo fisico; al momento della morte, sia il prana che la mente e l’anima (Jivatma) lasciano il corpo fisico, insieme.

Nel tantra yoga, il prana è utilizzato per intensificare i poteri psichici latenti, eccezionali (siddhi), oltre che per la realizzazione suprema – la liberazione spirituale. Gli yogi capaci di elevare l’energia fondamentale kundalini shakti sentono il prana in innumerevoli e sfumati modi, e lo traspongono in un piano ricettivo, spesso sotto forma di luci mistiche, con affascinanti giochi, oltre che di certi suoni sottili, di un’armonia e bellezza incredibili.

Dharana – la concentrazione mentale

La mente assomiglia ad una scimmia: quanto più vogliamo calmarla, usando la forza, tanto più questa rifiuterà di conformarsi e salterà da una parte all’altra, ancor più agitata. La concentrazione mentale può essere descritta tramite il “non agire”. Il praticante zen chiama questo stato “rimanere semplicemente” (zazen). Uno stato di concentrazione mentale perfetta implica la focalizzazione dell’intero potenziale dell’attenzione sull’oggetto scelto, per un periodo determinato di tempo, senza forzare o far sì che appaiano tensioni mentali. Questo processo è analogo al fenomeno di focalizzazione della luce solare tramite una lente: la forza dei raggi solari, riuniti in un solo punto, cresce enormemente rispetto a quella dei raggi solari dispersi. Se, comunque, la luce è perfettamente focalizzata ma il processo dura troppo poco, i risultati sono molto deboli o addirittura nulli. La focalizzazione deve essere mantenuta in modo continuo per un certo periodo di tempo, in modo che gli effetti siano percepibili (ad esempio, dar fuoco ad un pezzo di legno). In modo analogo, dharana deve essere mantenuta per un periodo sufficientemente lungo, così da permettere lo scatenarsi del processo di risonanza con le energie cosmiche corrispondenti, il trasferimento di queste energie nel nostro essere, e con esse, il trasferimento delle informazioni riguardanti l’oggetto della concentrazione.

La mente umana riceve permanentemente informazioni dal mondo esterno, tramite le cinque porte dei sensi: olfatto, gusto, vista, tatto e udito. Dalla totalità delle informazioni ricevute dai sensi, la mente ha la capacità di selezionare solo quelle che considera di una certa importanza in un determinato momento. Questa selezione è realizzata tramite la focalizzazione dell’attenzione su delle informazioni particolari, ignorando tutte le altre, meno importanti. Quanto più l’attenzione è focalizzata su un determinato senso, tanto più la quantità di informazioni ricevute tramite esso aumenta, mentre il volume di informazioni ricevute dagli altri sensi diminuisce di intensità, fino ad ad essere persino ignorato dalla mente.

Una caratteristica speciale della mente umana è la capacità di focalizzazione l’attenzione verso il mondo interiore dei sentimenti, dei pensieri e delle idee. Oltre a questo, la mente umana può focalizzarsi su se stessa e ciò rappresenta un elemento di reale importanza, in quanto crea la possibilità del controllo mentale. Questa facoltà della mente umana, di modificare volontariamente l’orientamento dell’attenzione cosciente, rappresenta il meccanismo di base della concentrazione mentale.

Concentrarsi significa riunire tutto in un centro, raccogliere, focalizzarsi.

Tramite la concentrazione mentale – dharana – la mente è focalizzata su un unico scopo senza saltare da un soggetto all’altro, per un periodo determinato di tempo. L’opposto della concentrazione è la dispersione, la confusione. In questo caso, la mente non controllata passa bruscamente da un soggetto ad un altro, non fissandosi su nulla in particolare. Purtroppo, attualmente, questa è la condizione mentale della maggior parte delle persone. Quando la mente percepisce un oggetto esteriore, prende la sua forma. Così presenta un primo aspetto, chiamato vritti; nella sua qualità di vritti, la mente è la rappresentazione dell’oggetto esteriore. L’oggetto fisico costituisce l’oggetto “grossolano”, mentre l’oggetto sottile è l’impressione mentale che viene creata. Abbiamo così due aspetti importanti nel processo della concentrazione: vritti, l’oggetto conosciuto, ed il conoscitore (colui che percepisce).

Dharana si traduce con “controllare (fermare) la mente”. L’antica tradizione della saggezza considera che la mente, secondo leggi ben determinate, sia solo un flusso continuo di schemi psichici (vritti). La successione di modelli psichici ha un substrato emozionale, accompagnato in modo conseguente dalle risposte fisiologiche. In realtà, la mente significa movimento. E’ come il vento: il vento arriva mettendo in movimento l’aria; quando questo movimento si ferma, l’aria esiste ancora ma il vento è scomparso. La sostanza mentale, che rimane quando sono stati fermati i modelli psichici (vritti), si chiama citta. Quando scompaiono i modelli mentali, la mente scompare ed entriamo in uno stato di non-mente, stato caratterizzato dal maggior grado di creatività ed intuizione spirituale.

Patanjali ha definito lo yoga come segue: Yoga citta vritti nirodha (Yoga Sutra), che significa “Yoga è l’arresto (nirodha) graduale dei modelli mentali (vritti) della coscienza (citta)”.

Questo sutra contiene l’essenza dell’intera scienza yoga ed il segreto della concentrazione mentale.

L’ignoranza ed i pregiudizi, per natura, impediscono di credere nella riuscita della vostra mente. Non lasciatevi prendere in giro! Ogni essere umano ha la capacità di concentrarsi, anche profondamente, quando si tratta di un oggetto in grado di scatenare un grande interesse. La domanda è se questo tipo di concentrazione ha a che fare con la pratica autentica della concentrazione yoga. Questa può darci delle linee guida sullo stato reale di concentrazione mentale, tuttavia non è quello che lo yoga intende per concentrazione.

Dharana, la concentrazione volitiva, consiste nella capacità di concentrarci volontariamente su un qualsiasi oggetto, per un tempo indefinito, anche se il rispettivo oggetto non attira in modo spontaneo la nostra attenzione.

Non è indicato forzare la mente a concentrarsi, questa è una regola di base durante l’allenamento. La mente è come una scimmia: più vuoi tranquillizzarla usando la forza, più lei rifiuterà di conformarsi, e salterà da una parte all’altra, ancor più agitata. Per prevenire questo fenomeno, iniziate con il focalizzare la mente su un oggetto ben definito e, quando la mente avrà la tendenza a saltare ad un altro pensiero, riportatela indietro con pazienza e molta calma, con umorismo e con compassione per la vostra mancanza di disciplina interiore. Se, a causa di questo via-vai mentale, entrate in uno stato di nervosismo, questo non farà che aumentare la tendenza della mente verso la dispersione.

La concentrazione mentale – dharana – è una modalità per iniziare il processo di armonizzazione con le energie sottili del macrocosmo, la cui manifestazione visibile è l’oggetto della concentrazione. Non cercate di accelerare questo processo, lasciate che le cose scorrano da sé. In questo caso, la conoscenza passa dall’oggetto al soggetto.

Dhyana – la meditazione

“Dhyanam nirvishayam manas” – lo stato del mentale in cui non esistono pensieri che provengono dai sensi è la meditazione.

“Tatra pratyayaaikatanata dhyanam” – un’onda continua di percezioni o di pensieri, cosi è dhyana, la meditazione.

Si dice che la meditazione sia lo scorrere ininterrotto di un’onda di coscienza divina. E’ la corrente continua di pensieri verso un oggetto unico, o (nelle fasi superiori) verso Dio, o Atman.

La meditazione è la sola vera via che porta alla salvezza. Mette fine alle sofferenze, ai problemi e alla morte, distruggendone la causa. La meditazione conferisce la visione dell’Unità.

Praticate e capirete che cosa significa la meditazione!

La meditazione è un procedimento che si è proposto, fin dall’antichità, di demolire la turbolenza della nostra vita interiore ed esteriore, creando armonia tra l’individuo ed il suo mondo sociale e spirituale. Senza essere un procedimento fondato in modo necessario sul credo, può portare la perfezione all’interno di noi e all’esterno delle nostre vite. E’ un procedimento che ci semplifica la vita, ci arricchisce l’anima. Ci offre calma, comprensione, libertà e pace.

La meditazione può trasformare, può portare con sé ricchezza di comprensione e rilevare una saggezza difficilmente esprimibile in parole, ma che porta, coloro che la praticano, in una dimensione di percezione dell’Esistenza, che potremmo definire più profonda e più reale.

La meditazione è affrontata in molte religioni: induismo, buddismo, sufismo, giudaismo, cristianesimo e sciamanesimo, rivestendo diverse forme specifiche.

Altre definizioni di meditazione:

La meditazione è il fiore di loto che sorge dalle acque immobili.

La meditazione è l’azione di andare verso il centro, verso il Centro Supremo dell’essere.

Meditare significa viaggiare attraverso il nostro proprio mondo interiore, fino alla Porta della Sorgente Interiore, fondersi poi in un ultimo slancio, se l’animo è sufficientemente purificato.

La meditazione è la via reale che porta alla realizzazione, alla liberazione (moksha). Elimina ogni sofferenza, ogni rabbia e chiusura. La meditazione conferisce la visione dell’Unità e la percezione diretta dell’Unicità.

La meditazione è la via verso la divinità; è la scala misteriosa che va dalla terra al cielo, dall’errore alla verità, dal buio alla luce, dal dolore alla gioia, dalle preoccupazioni alla pace, dall’ignoranza alla conoscenza, dalla morte all’immortalità. La meditazione ci porta verso la conoscenza del Sé, ossia della pace eterna e della felicità suprema.

Samadhi – lo stato di sovracoscienza

Il Samadhi rappresenta lo stato glorioso e lo stadio finale di ogni via autentica spirituale. Anche se viene chiamata in modi diversi – satori, nella pratica zen, nirvana nel buddismo, o stato di divinizzazione nel cristianesimo – è di fatto la stessa condizione suprema dell’essere umano. La realtà dello stato di samadhi deve essere vissuta effettivamente: non è sufficiente trovare informazioni su di essa o cercare di immaginarla, in quanto è comunque impossibile fare ciò.

Il samadhi, lo stato sovracosciente di estasi divina, rappresenta l’ultima fase nello yoga, la fusione completa tra conoscitore, oggetto conosciuto e la vera e propria conoscenza.

Così se nella meditazione (dhyana) questi tre sono divisi, nel samadhi (estasi divina) questi si fondono totalmente l’uno nell’altro, diventando la stessa realtà. Nel samadhi (estasi divina), l’oggetto della concentrazione mentale e della meditazione profonda arriva a brillare da solo, nel campo espanso di coscienza dello yogi. Contemporaneamente, la dualità del soggetto-oggetto, conoscitore-conosciuto scompaiono del tutto. In questo stato, la mente prende completamente la forma dell’oggetto e proprio per questo, la sua forma sembra mancare. In realtà, gli yogi dicono che la mente non scompare in quanto, anche se il suo movimento libero tende a dirigersi verso diversi oggetti, la coscienza arricchita dell’atto del conoscere si mantiene comunque.

Questo dimostra che, ora, la percezione si realizza senza l’intermediazione di altri canali che possano aiutare (come ad esempio, i sensi, la mente, l’intelletto), per cui una tale esperienza è, in pratica, un fenomeno di identificazione. Il samadhi rappresenta uno stato di identificazione indifferenziato con l’oggetto da conoscere, o un’immersione nella sua essenza ultima, in un’attitudine di distacco dallo stesso Sé del conoscitore. Lo yogi sperimenta uno stato di coscienza in cui percepisce il substrato unico ed indifferenziato di tutte le cose, creature ed universi. Ora appare una conoscenza diretta di quello che i saggi affermano da millenni e cioè che “la parte si trova nel Tutto ed il Tutto è presente nella parte”. L’essere in stato di samadhi ritrae la coscienza dall’oggetto di meditazione, duplicandolo in se stesso. Agendo così, si istituisce uno stato in cui l’oggetto della conoscenza diventa il conoscitore, mentre il conoscitore si trasforma nel processo stesso di conoscenza. Questo stato è descritto a volte come “vuoto” (shunya), a causa del contrasto con l’apparente pienezza dell’obiettività che lo ha preceduto.

La meditazione (dhyana) finalizzata con lo stato di samadhi è un processo progressivo di distacco dell’oggetto dai suoi attributi esteriori, fino a quando l’essere si identifica con la stessa essenza dell’oggetto. Rimane solo Esistenza Pura, cioè la nostra natura essenziale. Quando l’acqua evapora, scompare il riflesso del Sole in essa. In modo analogo, quando la mente si dissolve nella Realtà Assoluta (Dio), quando cioè il lago della mente scompare, la coscienza dell’individualità scompare in essa. La beatitudine che segna l’entrata nello stato di samadhi è indescrivibile.

Questo processo di riscoperta del substrato unico, indifferenziato, di tutto quello che esiste, costituisce la condizione sine qua non per il raggiungimento dell’illuminazione spirituale. Da questo momento, gli oggetti finiti non appaiono più come strutture separate e limitate. Oltre a ciò, la coscienza che compone tutte le cose si porta in superficie, rivelandosi come la vera realtà degli oggetti percepibili.

Il samadhi non rappresenta una condizione inerte, come sostengono alcuni scettici. La vita nello spirito non significa annullamento. Quando lo spirito si copre con il velo dell’illusione, dirigendo l’attenzione verso le cose comuni e superando i limiti di questa esistenza effimera, la vita si intensifica.

Il samadhi rappresenta lo stato glorioso e lo stadio finale di ogni via spirituale autentica; seppur chiamato in diversi modi, è di fatto la stessa condizione suprema dell’essere umano.