Riflessioni chimiche tra Alchimia e Tantra
di Tomaso Vairo, ricercatore chimico
‘Noi possiamo più di quanto sappiamo’.
Nell’alchimia, il potere sulla materia e l’energia non è che un mezzo. Il vero fine delle operazioni alchemiche è la trasformazione dell’alchimista stesso, il raggiungimento di un grado di coscienza superiore. I risultati materiali sono solo le promesse del risultato finale, che è spirituale. Tutto è diretto verso la trasformazione dell’uomo stesso, verso la sua divinizzazione, la sua fusione nell’energia divina, dalla quale si irradiano tutte le energie della materia.
“La vera fisica è quella che giungerà ad integrare l’uomo in una rappresentazione coerente del mondo” [1].
L’alchimista, al termine del suo lavoro sulla materia, vede operarsi in lui stesso una trasmutazione. Ciò che avviene nel crogiuolo, avviene anche nella sua coscienza. Vi è mutamento di stato. Nel momento in cui la ‘Grande Opera’ si compie, l’alchimista diviene un uomo ‘risvegliato’, raggiunge il punto d’arrivo di ogni conoscenza reale delle leggi della materia e dell’energia, compresa la conoscenza tecnica. L’alchimista trasmutato conosce e governa materia ed energia. In questo modo è in grado di ‘trasformare in cibo ogni veleno’. Non viene toccato, anzi, ne beneficia, da ciò che brucia gli altri uomini.
Questo è il segreto dell’alchimia: esiste un modo di manipolare la materia e l’energia in modo da produrre ciò che gli scienziati contemporanei chiamerebbero uncampo di forza. Questo campo di forza agisce sull’osservatore, e lo pone in una posizione privilegiata di fronte all’universo. Da quel punto, egli ha adito a realtà che lo spazio, il tempo, la materia e l’energia abitualmente ci nascondono. Questo campo di forza è ciò che gli alchimisti chiamano la Grande Opera.
(NOTA: compiuta la Grande Opera, l’alchimista può manipolare materia ed energia in se stesso, attingendo anche all’energia universale, nella quale siamo immersi, e con la quale l’uomo risvegliato entra in contatto. In questo modo l’uomo può consciamente produrre nel suo corpo delle trasmutazioni, cosa che, spontaneamente, già avviene negli organismi viventi)
Le fasi della grande opera
L’opera alchemica avveniva mediante sette procedimenti, divisi in quattro operazioni, putrefazione, calcinazione, distillazione e sublimazione, e tre fasi, soluzione, coagulazione ed unione.
Attraverso queste operazioni la materia prima, mescolata con lo zolfo ed il mercurio, e scaldata nella fornace, trasmuterebbe, passando attraverso vari stadi, contraddistinti dal colore assunto dalla materia durante la trasmutazione.
I tre stadi fondamentali sono:
– nigredo o opera al nero, in cui la materia si dissolve, putrefacendo;
– albedo o opera al bianco, durante la quale la sostanza si purifica, sublimando;
– rubedo o opera al rosso, che rappresenta l’ultimo stadio dell’opera.
Il processo iniziava con la preparazione, in un mortaio, una miscela di 3 elementi: una pirite arseniosa, un metallo (‘zolfo e mercurio’ della tradizione ermetica), e un acido organico. Una volta ridotti in polvere e mescolati, questi elementi vengono scaldati in un crogiuolo, ed infine sciolti con un acido forte (‘solve et coagula’ nella tradizione ermetica). Questa operazione viene condotta per molti anni.
Ora, questo modo di operare, il ripetere molte volte la stessa operazione senza cambiare ‘parametri di processo’, sembra pazzesca per un chimico… in realtà l’alchimista ripete la sua manipolazione finché ‘si produce qualcosa di straordinario’.
(NOTA: in effetti il principio di Pauli dice che ‘non possono mai esserci due particelle nello stesso stato’ – è per questo principio che si passa senza intermediari dall’idrogeno all’elio, dall’elio al litio, ecc… – . Per l’alchimista, ‘come non ci sono due anime uguali, due esseri uguali, due piante uguali, così non ci sono due esperimenti uguali. Se si ripete migliaia di volte un esperimento, finirà per prodursi qualcosa di straordinario’. …praticare assiduamente con fiducia!)
È proprio questo avvenimento straordinario che attende fiducioso l’alchimista, compiendo scrupolosamente, e con consapevolezza, ogni passo dell’opera.
Il segno si avrà quando finalmente si ottiene una soluzione! Sulla superficie del liquido appaiono dei cristalli a forma di stella.
(NOTA: da qui anche il significato simbolico, per gli alchimisti, del cammino di Santiago de Compostela: Compos stellae, padrone della stella, è l’alchimista prossimo al compimento dell’opus, di cui la forma stellata che compare sulla superficie del metallo fuso nelle fasi finali della lavorazione è un segno anticipatore).
Ricevuto questo segno, la miscela viene tolta dal crogiuolo, e lasciata ‘maturare’ in un recipiente protetto da aria e umido (tramite una chiusura chiamata ‘chiusura di Ermes’ o chiusura ermetica).
Il lavoro consiste nel riscaldare questa miscela portandola all’incandescenza, al fine di ottenere un fluido, di colore blu/nero (che potrebbe essere assimilato a ciò che oggi è noto come gas elettronico, cioè elettroni liberi che conferiscono al metallo le sue proprietà meccaniche, elettriche e termiche). Questo fluido veniva chiamato ‘l’anima dei metalli’, ed è l’essenza che si sprigiona nel recipiente ermeticamente chiuso e pazientemente riscaldato [2].
A questo punto, la maggior parte degli alchimisti riconosce la possibilità di due vie, una corta e facile, ma più rischiosa, chiamata via secca (che, sul piano spirituale, viene associata alla Tantrica Via della Mano Sinistra), e una più lunga e ingrata, ma sicura, la via umida (la Via della Mano Destra).
Nella via secca si prosegue con la cottura. La polverizzazione richiede l’azione di due fuochi, uno esterno e l’altro interno. Grazie anche all’azione del fuoco intrinseco sviluppato dalla disgregazione, avvengono le fasi successive della calcinazione e dell’incenerimento: la cenere calcinata abbandona le proprie impurità grossolane e combustibili, per dar luogo a un sale puro, che la cottura colora di rosso, e riveste dell’energia del fuoco.
Per tre volte il substrato deve sottostare a una nuova cottura, a nuove soluzioni e coagulazioni. La forma completa dell’opus si acquisisce dopo una serie di cotture.
Nella via umida, alla putrefazione segue l’impregnazione, o estrazione dell’anima, con cui l’essenza volatile viene estratta dalla massa in putrefazione, e viene successivamente distaccata e volatilizzata; e poi la purificazione, con cui il lattone non pulito, viene mondato delle sue impurità tramite distillazione e poi precipitato. Bisogna ora corporificare lo spirito volatile che si libra sospeso nell’essenza del metallo, dello spirito di vita universale.
Ottenuto questo fluido, si apre il recipiente, e, a contatto con l’aria, si solidifica, e si separa. Si otterrebbero, in questo modo, due sostanze nuove (la trasmutazione!), completamente nuove, che non sono composti, ma elementi puri! La polvere ottenuta sbriciolando nel mortaio il vetro modificato è la pietra filosofale.
Pochi autori parlano della via secca, dirompente ed eversiva, in cui il regime del fuoco viene rapidamente portato al livello massimo. nella via umida, invece, i processi avvengono con gradualità, e il regime del fuoco deve essere accorto e sensibile. Per gli alchimisti esistono un fuoco esterno e un fuoco interno, perché, oltre al calore che è necessario applicare dall’esterno per la liquefazione della pietra, occorre un secondo agente, detto fuoco segreto o filosofico o ‘fuoco di ruota’, in quanto fa girare la ruota e provoca i diversi fenomeni che l’operatore osserva nel suo recipiente [5].
Il motivo dei due fuochi può essere compreso alla luce di un passo delle Upanishad indiane (Maitri-Upanishad):
“L’ atman si presenta come una duplice entità: da una parte lo spirito vitale (prana) e dall’altra il Sole (aditya), che si manifesta come giorno e come notte. Il Sole – in alto – è lo Spirito Esteriore, il prana – in basso – è quello interiore, ed è perciò che si dice che il moto dello spirito interiore si lascia inferire dal moto dello spirito esteriore” [6].
Il fuoco esterno può essere identificato coi campi energetici del sole, della luna e dei pianeti, e più in generale con le influenze elettromagnetiche cui siamo oggetti a partire da tutto il cosmo; il fuoco interno col corrispondente elemento che entra in risonanza con le energie cosmiche. l’espressione ‘fuoco di ruota’ richiama i chakra. La loro rotazione (attività) può andare in due versi. una, è di servire ai meri bisogni biologici di sopravvivenza dell’individuo e della specie; l’altra, è il lavoro su se stessi.
Il fuoco esterno accende il fuoco interno dello zolfo, che è l’agente di tutte le trasmutazioni, che ”sussiste e si può ritrovare inalterato perfino nelle ceneri dei metalli calcinati” [4].
Il mercurio, solvente universale, ha il compito di animare e mobilizzare il nucleo interno soprasensibile, l’anima incombustibile, inalterabile, imperitura dei metalli e dell’artefice (zolfo e mercurio sono associati ai princìpi maschile e femminile).
”Il fuoco naturale è un fuoco in potenza, che non brucia le mani, ma che dimostra la sua efficacia se è appena eccitato dal fuoco esterno” [4].
Il compimento della grande opera
L’alchimia assicura che ‘Se noi lottiamo con costanza e fiducia per liberarci dall’ignoranza, la verità stessa lotterà con noi e per noi, e vincerà! allora comincerà la vera metafisica’.
Molto più rilevante dell’ottenimento della pietra filosofale, è il compimento della Grande Opera.
Le tre fasi della Grande Opera alchemica corrispondono a fasi di sviluppo spirituale: la nigredo corrisponde all’uccisione dell’Io fisico, alla rottura della chiusura della comune individualità; l’albedo è l’apertura estatica, l’esperienza della luce, però con un carattere passivo, per cui essa viene chiamata anche ‘regime della Donna o della Luna’; lo stadio finale o perfetto, la rubedo, comporta il superamento di tale fase, la riaffermazione delle qualità virili, per cui si parla di ‘regime del Fuoco e del Sole’.
Nell’alchimista stesso si produce una trasformazione. Questa trasformazione è ‘la promessa di ciò che attende l’umanità al termine del suo contatto intelligente con la terra e i suoi elementi: la fusione nello spirito, la sua concentrazione in un punto spirituale fisso, e il suo collegamento con altri focolai di coscienza. l’alchimista scopre il senso del suo lungo lavoro, scopre tutti i segreti della materia e dell’energia, e al tempo stesso gli diventano visibili tutte le infinite prospettive della vita, egli stesso stabilisce nuovi rapporti tra il suo spirito e lo spirito universale, in eterno progresso di concentrazione’. L’alchimista passa ad un altro stato dell’essere, si ritrova innalzato ad un nuovo livello della coscienza, si scopre ‘sveglio’.
L’opus vero si compie dentro il corpo, dove sono si ritrovano commisti l’anima e lo spirito, che vanno estratti, e separati. Lo spirito va separato dall’anima, e poi riunificato alle singole facoltà nel frattempo depurate.
Le dimensioni profonde della corporeità sono sbarrate alla coscienza dell’uomo comune, che non conosce il suo ‘potenziale’ energetico.
“L’uomo comune subisce lo stato tamasico della corporeità , e non conosce lo stato rajasico (corpo sottile) ne lo stato sattvico (corpo causante). […] le tecniche dello yoga tantrico mirano proprio a dischiudere alla coscienza desta e lucida la corporeità spirituale” [7].
Anche nel taoismo si possono ritrovare concetti analoghi. A differenza dei concetti alchemici generali, però, le scuole taoiste sono sostanzialmente due, a seconda che pongano l’attenzione soprattutto sul cosiddetto elisir esterno, o sull’elisir interno.
I seguaci dell’elisir esterno seguivano i procedimenti alchemici che, attraverso la manipolazione e la purificazione di sostanze (con procedimenti ‘chimici’ analoghi a quelli sopra descritti) ricercavano una sorta di ‘filtro di immortalità’, mentre i fautori dell’elisir interno preferivano basarsi soltanto su ciò che c’è all’interno dei nostri corpi, e imparare a gestire le energie in modo da procurarsi l’immortalità con ciò che abbiamo già (in quest’ottica si colloca, in modo prevalente, il cosiddetto tao dell’amore, un insieme di tecniche fisiche, respiratorie, e mentali volte al raggiungimento della continenza sessuale).
Fac volatile fixum et fixum volatile: la procedura è pericolosa, e non per tutti. bisogna eccitare le passioni, e portarle a un punto tale che esse non si esauriscano a un banale soddisfacimento del desiderio, ma sublimino ad un altro piano dell’essere.
Tale principio alchemico richiama anche un principio yogico. Nel corpo vi sono due correnti vitali sottili, prana, in relazione con la funzione respiratoria, e apana, in relazione con le funzioni secretivo-eiettive. Tali correnti sono legate, ma la prima (prana) tende verso l’alto, e la seconda (apana) verso il basso. L’instabilità dell’uomo comune sarebbe data dall’oscillazione incontrollata di questi due princìpi. Alcune pratiche yogiche permetterebbero di invertire la direzione naturale delle due correnti, e di farle riunire. Nel corpo sono presenti due arterie principali, pingala e ida, che trasportano apana e prana. Ida ha un carattere lunare, ed è connessa al principio shaktico, pingala ha un carattere solare, ed è connessa al principio shivaico. Tali vie partono da muladhara chakra, e si incrociano cinque volte lungo la colonna, finendo ida, nella narice sinistra, e pingala nella narice destra (queste due vie vengono anche messe in relazione con lo scorrere del tempo, ritmato dalla sequenza di inspirazione ed espirazione). Le tecniche di pranayama portano all’unificazione di queste due vie (riuscendo, in questo modo, anche a trascendere il tempo e la morte – Kala –), consentendo la loro fusione in sushumna (che ‘divora’ il tempo), che trasporta l’unica forza, ed è la direzione assiale lungo la quale si può muovere la kundalini risvegliata [7].
Il ‘tramutare in cibo ogni veleno’, nella vita di tutti i giorni, è l’accogliere ogni situazione, ma senza quel fatalismo passivo, che espone a qualunque cosa, e che porta ad annullarsi totalmente nelle situazioni.
Accettare ciò che emerge è una scelta attiva e cosciente, attuata con presenza totale, che permette di percepire ogni situazione nel suo complesso. Permette di accogliere sia le nostre reazioni che quelle di un’altra persona, di aprire interamente la mente e il cuore, in modo da riunire tutti gli opposti e le contraddizioni (la ‘coniunctio oppositorum’ della tradizione alchemica).
Così, con questa trasparenza, non resta alcun punto di vista da difendere e mantenere, si ritrova la capacità di accettare ogni manifestazione della realtà, con la totale fiducia che sia sempre la cosa migliore.
La mente che si oppone si sgretola, lasciando il posto alla mente che unisce. Così si potrà sempre trovare meraviglia e splendore in qualsiasi situazione.
NOTE
Se vi fossero dubbi circa la bontà delle scoperte degli alchimisti, si pensi al fatto che molti processi chimici industriali oggi usati derivano da ciò che gli alchimisti facevano (la produzione dell’ossido di zinco – lo zinco è stato, tra l’altro, scoperto proprio da un alchimista, Teofrasto Paracelso –, che segue le fasi del processo alchemico; la ‘fusione di zona’, per preparare silicio e germanio dei semiconduttori, che si attua attraverso un raffinamento descritto dagli alchimisti come ‘distillare mille e mille volte l’acqua per preparare l’elisir’, la produzione degli ossidi di piombo in diversi stati di ossidazione, …).
La trasmutazione è il processo mediante il quale un atomo si trasforma in un altro, mediante emissione di particelle subatomiche.
Chiaro che tali operazioni necessitano di elevatissime energie per compiersi, e la scoperta di tali energie (trattandosi sostanzialmente di fenomeni subatomici) è relativamente recente.
Gli alchimisti conoscevano da tempo queste possibilità. sapevano (e lo applicavano continuamente) che combinazioni geometriche di materiali estremamente puri bastano per scatenare reazioni atomiche, senza che ci sia bisogno di elettricità, o vuoto. (per questo compivano processi interminabili di purificazione degli elementi, tipo il distillare l’acqua migliaia di volte – si nota l’analogia con i moderni processi di preparazione dell’acqua pesante -, o il ‘solve et coagula’ delle sostanze nel crogiuolo).
Per quanto riguarda le trasmutazioni, diversi esperimenti hanno dimostrato la possibilità, per gli organismi viventi, di operare inconsapevolmente processi di trasmutazione (le ‘famose’ galline di Kervran, che operavano trasmutazioni di potassio e silicio in calcio attraverso – probabilmente – il carbonio e l’idrogeno normalmente presenti). chiaro che tali operazioni necessiterebbero, secondo la fisica classica, di elevatissime energie per compiersi, quindi, dal momento che energia, e condizioni necessarie per tali trasmutazioni, sono assolutamente incompatibili con quelle disponibili negli organismi viventi, tali fenomeni vengono negati.
Questi sono esempi delle trasmutazioni biologiche che avvengono spontaneamente all’interno del nostro corpo [8]:
Na23 + H1 -> Mg24 (trasmutazione da Sodio a Magnesio, mediante acquisizione di atomi di Idrogeno);
Na23 + O16 -> K39 (trasmutazione da Sodio a Potassio, mediante acquisizione di atomi di Ossigeno);
Na23 – O16 -> Li7 (trasmutazione da Sodio a Litio, mediante emissione di atomi di Idrogeno);
K39 + H1 -> Ca40 (trasmutazione da Potassio a Calcio, mediante acquisizione di atomi di Idrogeno);
Mg24 + Li7 -> P31 (trasmutazione di Magnesio e Litio, per fusione, in Fosforo);
Mg24 + O16 -> Ca40 (trasmutazione da Magnesio a Calcio, mediante acquisizione di atomi di Ossigeno);
F19 + O16 -> Cl35 (trasmutazione da Ferro a Cloro, mediante acquisizione di atomi di Ossigeno);
C12 + Li7 -> F19 (trasmutazione di Carbonio e Litio, per fusione, in Fluoro);
Cl35 -> C12 + Na23 (trasmutazione del Cloro in Carbonio e Azoto, per decomposizione);
Fe56 – H1 -> Mn55 (trasmutazione da Ferro a Manganese, mediante emissione di atomi di Idrogeno);
2O16 – H1 -> P31 (trasmutazione da Idrogeno e Ossigeno in Fosforo, mediante fusione);
O16 + O16 -> S32 (trasmutazione da Ossigeno a Zolfo, mediante fusione);
2N14 -> C12 + O16 (trasmutazione da Azoto a Carbonio e Ossigeno, mediante decomposizione);
N14 + Mg12 -> K19 (trasmutazione da Azoto e Magnesio in Potassio, mediante fusione);
Si28 + C12 -> Ca40 (trasmutazione da Silicio a Calcio, mediante acquisizione di atomi di carbonio);
P31 + H1 <-> S32 (trasmutazione da Fosforo a Zolfo, e viceversa, mediante acquisizione o perdita di atomi di idrogeno).
Tomaso Vairo ha iniziato ad interessarsi di chimica e fisica dopo aver letto un libro dove si raccontava degli alchimisti e della grande opera. Affascinato dalla possibilità di capire le trasformazioni della materia, inizia ad approfondire gli aspetti ‘tecnici’, portandolo a laurearsi in ingegneria chimica, e a fare attività di ricerca. A tutto questo, si è unito l’interesse per il percorso ‘interiore’ degli alchimisti, così inizia la sua personale ricerca, avvicinandolo a diverse filosofie e religioni, in particolare orientali (induismo, buddhismo e taoismo), e a praticare yoga e meditazione. Sostiene come la scienza ci stia, sempre di più, confermando che siamo tutti parte di una unica ‘entità’, che può essere chiamata Energia, Spirito, Natura, Universo, Brahman, Tao, Nirvana, o Dio; è costante, sempre presente, eterna, ed è l’essenza di tutta la nostra esistenza.
RIFERIMENTI
- [1] P. Teilhard de Chardin: Il Fenomeno Umano
- [2] L. Pauwles, J. Bergier: Il mattino dei Maghi
- [3] Fulcanelli: Il Mistero delle Cattedrali
- [4] Fulcanelli: Le Dimore Filosofali
- [5] E. Canseliet: Introduzione e Commenti alle opere di Fulcanelli
- [6] J. Evola: La Tradizione Ermetica
- [7] J. Evola: Lo Yoga della Potenza
- [8] R. A. Nelson: Trasmutazioni Biologiche